È facile. Da piccola
usavo la macchina fotografica “Kiev” di mia nonna e la camera oscura (nel bagno
senza finestre) che all’epoca faceva soltanto foto in bianco/nero. Il
‘vizietto’ mi si è rimasto, probabilmente, per la pulizia dell' immagine che si
riesce ad ottenere e il gioco chiaro/scuro (ombra/luce) che si cerca di solito.
È una questione che conosce ogni fotografo professionista. Ma, ultimamente,
nella fotografia contemporanea (a volte) l’effetto ombra/luce sta scomparendo del tutto e non è un difetto. La fotografia è
cambiata grazie alle macchine digitali, dà molte più possibilità per la
creatività, io invece sono ancora attaccata al mio vecchio modo vedere la
fotografia.
-qual è il ‘tempo ‘ di queste foto, in quale ‘tempo’
vivono?
Infatti, come dicevo
sopra, è un tempo passato remoto, ma molto remoto dove io giravo con mia nonna
e fotografavo tutto (il giardino botanico, i boschi di Kiev dove abitai da
piccola, il maestoso fiume Dniepr che si vedeva passare sotto)… tutto in
bianco/nero. Quando queste vecchie fotografie le guardo ora, mi danno la
sensazione di qualcosa ancora non ‘sverginato’, non capito… per questo, qualche
anno fa ho pensato a miei filtri personali, ad un' applicazione manuale che mi
permettesse di dare la vita ad una foto bianco/nera, darle quell’aria che
potrebbe appartenerle ma in realtà è soltanto un miraggio. Lo faccio sulle foto
mie, (non su quelle, antiche, del mio archivio) e cerco di liricizzare il più
possibile ogni immagine sulla quale lavoro. La liricità è la caratteristica di
questi tempi che va in contrasto con i tempi che viviamo…. È un calmante per
gli occhi, è un invito a riflettere, è
una specie di lorazapam, xanax o qualcosa altro
che può far stare bene. Perché quando non mi sento bene, di solito
prendo la macchina e vado nel parco sotto casa con i campi non coltivati e
cerco di ‘guarire’ a modo mio: da lì nascono le mie margherite di novembre
prima di morire o i paesaggi che
aspettano la neve che non arriva. Sono i ‘tempi’ che sono sospesi in attesa di
un cambiamento, amano il vissuto (ritratti) e l'esteticamente 'aggrappante'
(paesaggi).
-e che silenzio è, quello di cui sembrano queste foto
nutrirsi?
Sono enormemente
felice di questa tua definizione. Sorrido platealmente! Quando sono state
scattate, attorno regnava un caos: la gente che tagliava erba, gli aerei che
rombavano, i cani correvano su e giù, qualcuno che faceva ginnastica e passando
mi salutava, (qua si saluta sempre, per educazione) li salutavo anch’io… e
appena passava 'l'onda’ del disturbo mi buttavo sul soggetto per riprenderlo.
Ogni uscita con la macchina fotografica – sono tantissimi scatti, 300 più o
meno, controllo della luce esterna, le ombre, il girare attorno al sole, il girare attorno al soggetto, ‘divorarlo’,
sfruttarlo, ‘rubarlo’ per averlo e ricordarlo in qualche modo. Anche i ritratti
non sono da meno: gli umani non amano la macchina fotografica professionale,
non sono abituati, si irrigidiscono, non sanno come comportarsi. Quando lavoro
sul mio progetto
“STRAvolti” dedicato agli artisti del Friuli Venezia Giulia, so già quali difficoltà mi aspettano. Perciò dietro c’è il lavoro del fotografo, quello che non si vede: creare diverse emozioni parlando con il soggetto. Mi capitò nel passato un soggetto esteticamente difficile: lo misi seduto con un pannello dietro e lo obbligai a raccontarmi la barzelletta più lunga che conosceva e il risultato è stato inaspettatamente stuzzicante.
“STRAvolti” dedicato agli artisti del Friuli Venezia Giulia, so già quali difficoltà mi aspettano. Perciò dietro c’è il lavoro del fotografo, quello che non si vede: creare diverse emozioni parlando con il soggetto. Mi capitò nel passato un soggetto esteticamente difficile: lo misi seduto con un pannello dietro e lo obbligai a raccontarmi la barzelletta più lunga che conosceva e il risultato è stato inaspettatamente stuzzicante.
Di solito, quando
finisco di fotografare e torno a casa, poi scarico tutte le foto sul mio
programma ed inizio la selezione – è il momento più magico del mio lavoro
perché molto spesso quello che credevi importante viene addirittura cancellato
del tutto e vengono selezionate le immagini che credevi di scartare. Quel
silenzio che si nota nelle foto è un’ulteriore elaborazione che si aggiunge ad
ogni fotografia. Nel mio archivio esistono molteplici varianti della stessa
fotografia…. È un previlegio della fotografia che puoi ritoccare e salvare,
quello che non potresti mai fare con un quadro che è un pezzo unico.
-mi sembra che nel tuo fotografare non ci siano
differenze tra il ritrarre una persona, una natura morta o un paesaggio. Può
essere così? E se sì, perché?
Io, dalla
fotografia, voglio il carattere. Non amo la staticità. La cerco nell’espressione del viso, nello
sguardo, nel sorriso appena visibile, nel gesto particolare. Lo stesso nella
natura: in un albero non perfetto, in un movimento non uniforme delle piante,
delle margherite o, semplicemente, delle erbacce.
Io sono del parere
che il fotografo deve avere il proprio stile e deve essere riconoscibile. Come
un artista che quando espone le sue opere, la gente che lo guarda – dice: “Sì,
è lui…”. Questo concetto inconscio lo posseggono moltissimi artisti, ma non
tutti. Fare una bella foto non significa
essere un bravo fotografo. È più difficile mantenere il proprio stile e
andando avanti (anche facendo i cambiamenti) non sforare troppo. Un fotografo
contemporaneo deve essere riconoscibile già da una foto soltanto. Per questo
nella mia fotografia c’è sempre un filo conduttore (inconscio probabilmente)
che segue sempre una “linea di condotta” e se mi chiedete qual è, non lo saprei neanche dire, perché la mia fotografia è classica, o
‘classicotta’ come la chiamo amorevolmente, con le ombre che giocano un ruolo
essenziale… come nel ritratto così anche nel paesaggio o nel macro che non è un
macro classico, è soltanto un ingrandimento che fa uscire oggetti illuminati in
primo piano grazie alle ombre aggiunte.
-come si relazione il tuo fare fotografia, con il tuo
scrivere e il tuo dipingere?
Dipingo per
mangiare, scrivo per curiosità e possibilità di dire alcune cose che non riesco
a dire normalmente, fotografo perché è l'unico modo che ho per esprimere un
senso estetico ed artistico, e questo lavoro non mi porta mal di schiena o mal
di testa. La 'Fotografia' mi fa star bene: iniziando dalle camminate che per
forza devi fare (a Lisbona, nel 2013, ho camminato per 4 giorni interi per
tutta la città, su e giù per le colline, in lungo e in largo, dappertutto,
senza mai prendere un mezzo di trasporto – 3000 fotografie, è stato il
risultato). Mi fa star bene, la
fotografia, perché non ha fretta, non ti fa asciugare il colore, non ti fa
modificare le sensazioni. Quando inizi a lavorare su ogni foto e capisci che
uno scatto è perfetto – è un godimento mentale e nei tempi che corrono è una
gran roba!!!!
http://www.isontina.beniculturali.it/it/669/fare-voci
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